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2016 - PRESENTAZIONE DEL PROFESSOR REMO CACCIATORI (settembre 2016)
2012 - LOCANDINA: TI RACCONTO UNA COSA DI ME (PALERMO: SETTEMBRE-OTTOBRE 2012)
2010 - INTERVISTA DI SHIRLEY DE SOUZA GOMES CARREIRA (in portoghese)
2007 -
ANALISI DEL RACCONTO "IL GIARDINO"
2006 - 500 TEMPORALI - RECENSIONE DI ENRICO PILI

2006 - LETTERA-RECENSIONE DI MARCELLA PIERINI A "500 TEMPORALI"

2006 - MATURITÀ - ESAME DI STATO 2006
2005 -
RECENSIONE DI MARIA LINDA SULLI AD "AMANDA, OLINDA, AZZURRA E LE ALTRE"
2004 - RECENSIONE DI CLOTILDE BARBARULLI AD "AMANDA, OLINDA, AZZURRA E LE ALTRE"
2003 - PREMIAZIONE DI "AMANDA, OLINDA, AZZURRA E LE ALTRE"
2002 - FIERA DEL LIBRO DI ROMA
2002 - INTERVISTA DI CARLA COLLINA
2002 - CONFERENZA STAMPA ONLINE
2000 - PREMIO GROTTERIA

 

PRESENTAZIONE DEL PROFESSOR REMO CACCIATORI (settembre 2016)
[Si
trascrive di seguito il discorso Christiana de Caldas Brito e la scrittura emotiva, con cui il 23 settembre 2016 il Professor Remo Cacciatori ha presentato a Milano la scrittrice prima che essa intervenisse sul "Ruolo dei laboratori di scrittura nel percorso linguistico dei migranti".]

Christiana De Caldas Brito, scrittrice brasiliana, che ha vissuto negli Stati Uniti, in Argentina, in Austria, ma che da più di mezzo secolo abita a Roma, è un'altra autrice polimorfa, la cui produzione sottoporremo al drastico ridimensionamento di un nome e di un genere. Nei suoi testi, come in quelli degli scrittori che l'hanno preceduta questo pomeriggio, è forte la presenza di personaggi emarginati, vittime di forme di discriminazione e di sfruttamento, la cui subalternità, tuttavia, non dipende tanto da connotazioni etniche: i suoi stranieri sono individui spesso senza identità, senza voce e senza patria, oggetto di solitudini esistenziali, di disuguaglianze sociali prima che razziali. Non a caso tali forme di marginalità sono declinate al femminile: nei suoi testi sono le donne, che  da una parte portano il peso delle ingiustizie e, dall'altra, ne alleviano il carico e hanno cura delle ferite inferte. Ed è proprio la parola "compassione" che propongo di assumere come chiave interpretativa delle sue opere. Con questo termine, che potremmo chiamare anche pathos o empatia, intendo la capacità di saper cogliere la fragilità umana, il cui riconoscimento per qualcuno è la caratteristica costitutiva del nostro statuto ontologico di uomini e donne  (A.Cavarero, Orrorismo ovvero della violenza sull'inerme" Milano, Feltrinelli, 2007, p.30).

Nei testi della de Caldas Brito, tale sensibilità verso ogni individuo vulnerabile  passa attraverso una scrittura emotiva, che a monte parte dalle insicurezze affettive dei personaggi (come dice la protagonista di un racconto della raccolta Qui e là, alter ego della scrittrice: "Il mio lavoro consiste soprattutto nell'avvicinare le persone alle proprie emozioni. Non è facile. Spesso le emozioni sono coperte da convenzioni sociali, da abitudini, da convivenze sbagliate o semplicemente da un'inerzia stagnante. Ricevo persone di varie età, uomini e donne in situazioni difficili, in preda alla depressione o con attacchi di panico, adolescenti ribelli, ragazze anoressiche. Accompagno queste persone in un incerto e lungo viaggio pieno di sorprese") e a valle tocca l'affettività del lettore, coinvolgendolo in una stanca e piacevole tristezza, che in Portogallo ha il nome di saudade, la "nostalgia del futuro", come la chiama Tabucchi (che in portoghese ha scritto un romanzo). Ẻ uno stato d'animo complesso, ricco di umanità, che mescola malinconia e speranza, legato, ancora una volta, all'esperienza della migrazione e della lontananza, quella ad esempio dei marinai e delle loro donne, che, di fronte al mare, provano la tristezza del ricordo e il sogno dell'attesa. Tale nota malinconica non deborda mai nel sentimentalismo melò, ma, soprattutto nei racconti, è tenuta in sordina, spesso grazie a un'abile amalgama con i toni del fantastico.

Questo genere narrativo, nella tradizione del realismo magico sudamericano, può assumere valenze anche politiche, perché "a volte è, in certe nazioni, l'unica forma di parlare dei diritti di ogni essere umano", come a dire che, quando è impossibile competere con l'avversario sul piano della forza, si può quantomeno disarmarlo delle sue certezze, sparigliando le regole del gioco della realtà. Infine, le  potenzialità sovversive dei testi della nostra autrice non sono solo affidate al genere fantastico, ma anche  al particolare uso della lingua di adozione. Infatti l'italiano della de Caldas Brito, proprio perché le si offre libero dalla sua storia e dalle sue stratificazioni a lei sconosciute, a volte si presta a gioiose e dissacranti forme di sperimentalismo (che in alcuni casi si materializza nell'impiego del "portugliano"). Ẻ il contrario di quanto avviene nell'approccio deferente e diffidente di Smari. Il romanziere keniota Ngữgἶ  Thiong'o, che è tornato a scrivere solo nella proprio dialetto nativo, il  gĩkũyũ, sostiene che praticare due lingue è come avere due genitori divorziati (Decolonizzare la mente, Milano,  Jaca Book, 2015). Christiana de Caldas Brito, invece, vede nella seconda lingua una benevola matrigna, che affianca la madre-lingua nella cura dei figli, anche se non sono biologicamente suoi (M.C.Mauceri, Le parole liberano l'anima. A colloquio con Christiana de Caldas Brito, in "Kúmá. Creolizzare l'Europa", n. 8, 2004). Insomma, potremmo dire che nei suoi testi  anche l'italiano si mostra compassionevole a chi gli chiede una mano.

 

LOCANDINA: TI RACCONTO UNA COSA DI ME (PALERMO: SETTEMBRE-OTTOBRE 2012)

UMA CONVERSA COM CHRISTIANA DE CALDAS BRITO (OTTOBRE 2010) INTERVISTA DI SHIRLEY DE SOUZA GOMES CARREIRA

A escritora Christiana de Caldas Brito nasceu no Rio de Janeiro, em 1939, e está, atualmente, radicada na Itália. Ao conquistar o segundo lugar no I° Concorso Letterario Eks&Tra, com  o conto "Ana de Jesus", obteve reconhecimento público e começou a trajetória que a levou  a ser considerada  um expoente da Literatura da Migração italiana.
Em 1996, com o conto “
Tum tum, tum tum”, ganhou o Concorso Letterario Nazionale per il Racconto Inedito, de Cremona.
Seu primeiro livro de contos, Amanda Olinda Azzurra e le altre, foi publicado em 1998, pela editora Lilith de Roma. Esgotou-se em pouco tempo e teve uma segunda edição pela editora Oèdipus, de Salerno-Milano, em 2004.
Em 2003, obteve o 1° Premio di Scrittura Femminile Il Paese delle Donne, promovido pela Casa Internazionale delle Donne, em Roma.
Em 2002, lançou uma fábula para crianças, La storia di Adelaide e Marco, também pela editora Il-Grapollo.
Outra coletânea de contos, Qui e là, foi lançada em 2004, pela editora Cosmo Iannone, como parte de um projeto de curadoria do Prof. Armando Gnisci, proeminente escritor e professor de Literatura Comparada da Universitá degli Studi di Roma, La Sapienza.
Também pela Cosmo Iannone, foi lançado o seu primeiro romance: 500 temporali, cuja ação se passa no Brasil, que foi recebido com aplausos pela crítica especializada.
Seu último trabalho publicado, Viviscrivi, verso il tuo racconto, pela editora Eks&Tra, em 2008, consiste em um ensaio sobre a arte da escrita de ficção.
Diplomada pela Escola de Arte Dramática de São Paulo, Christiana também é autora de textos teatrais. Atualmente, ela conduz um laboratório de escritura em associações culturais, escolas e cursos superiores, como também na Associação Eks&Tra, da Universidade de Bolonha.
Colabora também no projeto Grundtvig European Programme, Arte Terapia Social, em que recebe participantes italianos, romenos e franceses. Em conjunto com Michela Carpi, instituiu o Laboratório de Escrita Autobiográfica da Associação BombaCarta.
Seu famoso monólogo “
Ana de Jesus” tem sido continuamente representado na Itália.
Este ano, durante a
SETTIMANA DELLA LINGUA ITALIANA NEL MONDO, o público brasileiro pôde contar com a presença de Christiana de Caldas Brito em palestras apresentadas no Rio de Janeiro (UERJ e UFRJ) e São Paulo (USP), onde também conduziu laboratórios de escrita ficcional.
Tivemos o privilégio de ler 500 temporali no ano de seu lançamento e, além do reconhecimento da excelente obra ficcional, marcou-nos a sensação de aquele era um romance “brasileiro” escrito em italiano.
Por ocasião da vinda de Christiana ao Brasil, em 18 de outubro de 2010, assistimos à sua apresentação na UFRJ e fizemos uma breve entrevista com a escritora.

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1-Christiana, sei que a sua carreira como escritora foi construída na Itália, mas gostaria que você me falasse um pouco sobre a sua relação com a literatura. Como ela surgiu? Você já escrevia, ainda que informalmente, quando estava no Brasil? 

Sim, eu já escrevia. Desde criança, se me perguntavam o que eu gostaria de ser quando crescer, eu respondia: escritora.  Minha mãe era uma escritora e seus romances saíam em capítulos na revista “O Cruzeiro” antes de serem publicados e vendidos nas livrarias.

 2- A sua ida para a Itália foi determinante para definir o seu estilo de escrita e os temas que aborda em seus livros?

 Posso afirmar como justo que minha ida para a Itália não só sugeriu temas, mas também o meu estilo.

Christiana de Caldas Brito Miscia

3-Amanda Olinda Azzurra e le altre é um livro premiado, que aborda a questão da diferença, do Outro, e a Itália tem um histórico de uma relação bastante problemática com os imigrantes. Você sentiu na carne essa diferença, esse lugar do Outro?

Não. Senti saudade, passei por momentos de solidão, mas nunca fui tratada como “diferente”, num sentido pejorativo. Minhas diferenças eram, pelo contrário, valorizadas e apreciadas.

4-Quando li 500 temporali tive a nítida sensação de estar lendo um romance brasileiro escrito em italiano. Como você explica isso? Você acha possível que a literatura do imigrante em uma língua estrangeira possa reter as marcas identitárias de sua cultura de origem a tal ponto?

500 temporali foi escrito em italiano e para os italianos. Acho que sim. Algumas palavras foram deixadas em português exatamente para que a história não perdesse as suas características brasileiras (como, por exemplo, “favela”, “morro”, “carioca”, modos de falar das pessoas. Além disso, os nomes dos personagens são bem típicos). Conheço bem a minha cidade (Rio de Janeiro) e a mentalidade de seu povo. Procurei ser fiel ao que conhecia.

5-O monólogo de Ana de Jesus em Amanda Olinda Azzurra e le altre causou impacto, tanto é que, além de bem recebido pela crítica e pelo público, tem sido representado no teatro inúmeras vezes. Como foi escrever aquele relato em uma interlíngua, em “portuliano”, como dizem alguns críticos?

É o conto que mais trabalho me deu, pois tinha que parecer extremamente natural aquela língua hibrida que é o “portuliano” e quando escrevi Ana de Jesus eu já falava bem o italiano. Procurei entrar na mente de uma colf (collaboratrice familiare) e observei o seu modo de falar.

6-Em 500 temporali, você retratou de forma contundente o dia-a-dia de pessoas que vivem nas favelas do Rio de Janeiro. Como você construiu a narrativa do seu livro? Quase foram os referenciais para a sua escrita?

É um livro “coral”. Passo a palavra de um a outro personagem e são eles, os personagens, a contar a história, a mostrar o que acontece através das próprias reações. Quis a chuva como leit-motiv do romance, mas, na verdade, ela é também uma personagem, talvez a mais importante de todas.  Dela depende a vida dos vários outros personagens. Muitos dos fatos que conto são reais porque eu trabalhei nas favelas quando morava no Rio, antes de ir à Itália.

7-Infelizmente, aqui no Brasil, não há nenhuma pesquisa concreta sobre a literatura escrita por brasileiros que vivem no exterior. Na Europa, e para os críticos e pesquisadores que estudam a questão da migração, você é considerada uma escritora migrante. Como qualquer outra pessoa que vive a experiência da migração, o escritor que vive em outro país passa por fases no seu processo de aculturação. O quanto há de brasileira e de italiana na Christiana de hoje? Você pode dizer se experimentou aquilo que os teóricos chamam de “transculturação”?

Não consigo estabelecer fronteiras dentro de mim.  Sinto-me enriquecida pela minha experiência de migrante e pelo fato de escrever em uma língua nova, aprendida já como adulta.  Não me pergunto quanto existe em mim de brasileiro ou de italiano.  As duas culturas convivem sem conflitos em mim, mas quando escrevo falo daquelas pessoas em que isto não se verifica.

8-O seu relato intitulado “Cara Jandira”, entre outras coisas, fala de nostalgia e também da visão estereotipada que os europeus têm da mulher brasileira. Como você interpreta esse estereótipo? Já houve alguma mudança? Qual é a visão atual do povo italiano em relação a ele?

O estereótipo é cômodo, não ajuda a pessoa a pensar e a ter a sua visão de um fenômeno. O estereótipo revela mais a pessoa que o usa do que a pessoa à qual se refere. Houve, sim, mudanças, mas tem sido lentas.  A arte (por exemplo, a música, a literatura e a arquitetura) tem muito contribuído para mostrar um outro Brasil no exterior e, no caso, na Itália.

9-Quais são os seus planos em relação a escrever sobre um tema que esteja estritamente ligado à Itália, assim como fez com o Brasil em 500 temporali?

Meu próximo romance Colpo di mare passa-se em três lugares diferentes: em Roma, na Sardenha (Carlo Forte, na ilha de San Pietro) e no nordeste do Brasil. Creio que seja um passo na direção de não relatar só o que diz respeito ao Brasil, não?

10-Creio que o idioma constitui a maior dificuldade para o escritor migrante. Como você venceu essa barreira?

Como já tive ocasião de mostrar, as barreiras podem ser transformadas e funcionar positivamente quando o estrangeiro observa a língua nova e descobre nela aquilo que os autóctones não notam (veja os comentários sobre o som gutural “ch”). A língua natal é contaminada, os vocábulos têm já sua história, mas uma nova língua se apresenta pronta à criatividade porque imaculada, aberta. Costumo dizer que a língua italiana é para mim como um lençol branco, limpo, estendido ao sol.

Esperamos que esta matéria desperte o interesse do público leitor brasileiro pela obra de Christiana de Caldas Brito, a quem agradecemos a gentileza da entrevista concedida.
 

Shirley de Souza Gomes Carreira

Editora

 

ANALISI DEL RACCONTO "IL GIARDINO" (febbraio 2007)
[Il brano che segue è tratto dalla tesi La poetica della saudade nell’opera di Christiana de Caldas Brito di Chiara Macchiarulo, una studentessa dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza.
La tesi fornisce una panoramica interpretazione complessiva dell’opera di Christiana de Caldas Brito tramite uno dei suoi aspetti peculiari, cioè la saudade; la parte proposta, situata al termine della tesi, comprende l’analisi del racconto Il giardino.
La giovane autrice di questa breve analisi, Chiara Macchiarulo, si è recentemente laureata con tale tesi, in Letteratura, Musica e Spettacolo –curriculum in comparatistica– riportando come voto finale 110/110 con lode; attualmente è iscritta al primo anno del corso di laurea specialistica in Editoria e Scrittura –curriculum in Tecniche e Pratiche dell’Editoria– presso la medesima Università. Aspira ad inserirsi nel mondo dell’editoria, territorio verso il quale la stanno portando i suoi studi.]

Racconto d’iniziazione, racconto fantastico, “racconto di saudade”. Il giardino può essere queste tre cose contemporaneamente senza che esse siano in conflitto tra di loro; la trama, brevemente, è la storia di Maira, che comincia a desiderare un giardino diverso da quello di casa sua, “un giardino più vasto, più eccitante e pericoloso" (1). E quindi parte, non si dice precisamente per dove, ma si reca in Europa; al suo ritorno dopo dieci anni, tutto è rimasto esattamente come lo aveva lasciato quando era partita. Rimane sgomenta e interdetta, così come rimane sgomento e interdetto il lettore, che non riesce a spiegarsi in maniera razionale come sia possibile quanto ha appena letto. Tale procedimento di straniamento, è tipico dell’opera di de Caldas Brito, in particolare nei racconti, in cui aspetti apparentemente inspiegabili e fantastici vengono presentati con la naturalezza dei fatti di ogni giorno, e con essi convivono in  una simbiosi del tutto perfetta. E allo stesso modo il filo dorato di cui si parla nel racconto potrebbe essere reale o metaforico con la stessa probabilità, sebbene esso assuma un simbolico significato di appartenenza; come allo stesso modo il viaggio di Maira può essere o non essere accaduto realmente.
La dimensione onirica, spesso presente nei racconti dell’Autrice, potrebbe essere una spiegazione dell’inesistente salto temporale per gli altri personaggi del racconto; ed è l’Autrice stessa ad autorizzare questa possibile interpretazione, presentandoci tutti i sogni – anche se nel senso di obiettivi – dei personaggi, fino a quando il padre di Maira non le chiede quale sia il suo sogno:
" “ E tu, Maira, qual è il tuo sogno?” Fu la domanda a svegliare il sogno, papà. Non pensavo di averne uno. Mesi dopo ti diedi la risposta: “Voglio viaggiare, papà, il mio sogno è partire” " (2).
L’Autrice, tramite la voce di Maira, sembra dare anche una risposta al lettore, favorendo quindi una  interpretazione in chiave onirica; il viaggio di Maira in realtà quindi non è mai avvenuto. O forse sì? Suo padre va comunque a prenderla all’aeroporto, al momento del suo ritorno… Ed è a questo punto che Il giardino diventa racconto di iniziazione e quindi quasi parallelamente, racconto di saudade: Maira comincia a sentire che quel mondo fuori dal mondo non le appartiene, che vuole di più, sente che oltre il suo edenico giardino esiste un mondo intero da esplorare e che aspetta solo lei per essere scoperto: decide di partire, decide di affrontarlo, quel mondo, e di diventare così, fino in fondo, una donna. Parte. Ed immaginiamo che affronti una serie di esperienze che la cambieranno per sempre; e come in tutti i racconti di iniziazione, l’eroe – in questo caso l’eroina – torna alla casa paterna con una consapevolezza nuova, diversa ma sempre fedele a se stessa:

Non torno perché mi sono trovata male. In Europa faceva freddo, ma nel freddo si studia e si lavora meglio. Non ho avuto conflitti con l’efficacia frettolosa degli europei. Ho imparato anche io a fare le cose in fretta. Torno per riacquistare il ritmo delle nostre serate in giardino, un ritmo fatto più di cose sognate che realizzate. (3)

Torna ancora una volta il sogno, stavolta in opposizione con la cultura europea occidentale; ed è proprio in questo spazio di opposizione, in questo momento di transito che si inserisce la saudade: Maira torna a casa perché vuole “riacquistare il ritmo" (4) della sua terra, un ritmo senza dubbio più lento e senza dubbio più umano.
Secondo quest’ottica, dunque, Maira è realmente partita, ed è realmente tornata; ma la sua famiglia non è come ella l’aveva immaginata al momento del suo ritorno: Maira credeva di trovare tutti con quei dieci anni in più sulle spalle, i genitori invecchiati, i fratelli cresciuti. Invece li trova tutti uguali, ma proprio perché in realtà essi sono sempre rimasti identici a se stessi, mentre ella è cambiata; gli anni per la sua famiglia non sono mai passati in quel giardino senza tempo, al di fuori del quale invece il tempo corre veloce, secondo una quasi perfetta relatività einsteiniana!
Ciò che fa sì che Maira veda diversamente la sua famiglia è il suo allontanamento da quel mondo, l’allontanamento che è avvenuto nella sua mente delle immagini della sua famiglia, deformate ancor di più dalla  saudade di loro ogni volta che li richiamava alla mente. Maira torna perché ha saudade della sua famiglia, della sua infanzia; una volta tornata a casa sembra paradossale che non sia contenta di trovare tutto esattamente come l’aveva lasciato al momento della partenza: non doveva essere questo il suo più grande desiderio? Invece desidera che tutto sia diverso, che tutto sia cambiato come lei, perché appunto ella è cambiata. Ecco però che il realismo si tinge di fantastico, e che quest’ultimo, cacciato dalla porta, si ripresenti entrando dalla finestra. Lo stesso finale del racconto, che sembra ripetere come in  una sorta di eterno ritorno quanto già narrato prima, suggerisce la dimensione fantastica; ciononostante, la pregnanza semantica e la potenza narrativa di questo racconto così breve, risiede proprio in questa intrinseca polisemia, per cui ogni interpretazione collocherebbe il racconto in una dimensione parallela e solo parzialmente sovrapponibile alle altre.
Infatti, Maira potrebbe non essere affatto partita, ed il racconto del suo viaggio potrebbe essere soltanto il racconto di un sogno che ha fatto durante una delle sere in cui sedeva sulla panchina di legno che le era stata assegnata, quando, dopo essersi addormentata nell’aria fresca del suo giardino, la mente si era librata nell’aria e aveva sognato un futuro nuovo e diverso oltre quella sorta di gabbia dorata; e non sembra un caso che quel filo sia dorato, come una gabbia che protegge ma limita, che è meravigliosa e piena di pace, ma che separa dal resto del mondo.

(1) C. DE CALDAS BRITO, Il giardino, in Nae, Trimestrale di cultura, anno 5, N. 16, Cagliari, Cuec, 2006,  p. 33
(2) Ibid.
(3) Ibid.
(4) Ibid.

 

500 TEMPORALI - RECENSIONE DI ENRICO PILI

500 temporali copertina

La collana “Kumacreola” diretta dal professor Armando Gnisci –che di libero pensiero fa professione: imperdibile il suo “Decolonizzare l’Italia - Via della Decolonizzazione europea” (Cosmo Iannone Editore)– è fatta di perle interculturali su un filo d’argento: le parole di chi ha in testa e nel cuore il proprio paese di origine, sia esso il Brasile o la Somalia (per citare “Il latte buono” di Garan Garane) o la Siria (“Terra mobile” di Yousef Wakkas), ma è “costretto” a scrivere in italiano perché la destinazione finale della migrazione –il locus commissi delicti– è stata l’Italia. Che, dunque, si arricchisce di una nuova cultura espressa con la parola (kuma, nella lingua bambara del Senegal) creola, contaminata, meticcia. Basterebbe questo per mettere a tacere una volta per tutte un dibattito acceso ma vano e vaniloquente, politicamente scorretto, fastidioso, spesso sorretto solo dai toni del razzismo più becero o dalle argomentazioni dei boia chi molla: i migranti, che non sono turisti neanche per caso, sono esseri umani portatori di nuove idee e nuove parole. Sono perciò una ricchezza, sempre.

Il “portuliano” (portoghese-italiano) di Christiana de Caldas Brito, brasiliana –anzi carioca– e italiana, nel racconto Ana de Jesus (diventato, dopo aver vinto un premio al Concorso letterario per letteratura migrante, un’ottima riduzione teatrale) è una lezione di stile e di linguaggio verista postmoderno. Come esprimere i pensieri e le parole della gente umile (anche meno che umile è considerata una colf), povera, che non ha più una patria e una famiglia, se non con la sua “nuova” lingua? (D’altronde, così, con uno strano e intraducibile slang, parlavano in Celine i soldati fatti a pezzi nella trincea della prima guerra mondiale).

Christiana esercita questa difficile arte con naturalezza come se la collaboratrice domestica extracomunitaria sia lei, sia “dentro” di lei. La sua empatia infinita –il suo messaggio d’amore– per l’umanità che soffre, per i milioni di uomini che vivono al di sotto o nella soglia della povertà, permea tutta la sua notevole opera letteraria. Non solo donne (nella raccolta “Amanda, Olinda, Azzurra e le altre”, per esempio), i cui sentimenti, l’inconscio e il conscio, le sfumature meno nobili e più poetiche, la scrittrice dipinge con introspezione profonda e sincera “solidarietà di classe”.

I protagonisti dei suoi libri –anche nell’ultima preziosa raccolta “Qui e là”– sono quelli che vivono pericolosamente nella faccia nascosta della luna, nascosta a chi pensa al Brasile (o viceversa all’Italia delle veline e delle letterine) come al paradiso sculettante del samba, agli allegri bevitori di cachaça di Jorge Amado, o all’esotismo del grande sertão e della foresta amazzonica.

Ecco, le donne e gli uomini del grande scrittore di Bahia stanno –anche i più miserabili– all’interno dei confini di un paese allegro, felice, magico e spensierato, un gigante buono dove –sembrerebbe– viver non è muito perigoso. Le donne e gli uomini della scrittrice carioca –che vuole dire di Rio de Janeiro, non propriamente “brasiliano”, come i giornalisti più accreditati e facili di penna scrivono riferendosi a un calciatore di San Paolo o a una diva delle telenovelas di Belo Horizonte– vivono nella faccia nascosta e sporca della luna. Vivono nella realtà.

Non c’è magia, casomai sogno, aspettativa di un miglioramento, speranza di un miracolo, che può anche verificarsi, nel bellissimo “500 Temporali” di Christiana de Caldas Brito, il primo romanzo brasiliano scritto in italiano (come dice Gnisci in quarta di copertina). Romanzo “sudamericano”, vero, senza orpelli o retorica, dove la vita reale è descritta –avvincente come in un giallo di Simenon– per quella che è nelle favelas o nel Silvestre, il morro –la collina– dove i rigagnoli delle fogne a cielo aperto si portano a valle la tristezza e qualche attimo di felicità.

Le favelas e i morros, i luoghi, che i turisti sessuali (e non) non hanno mai visto, dove risiede la maggior parte degli abitanti di Rio de Janeiro, costretti ad arrangiarsi, come nei bassi di Napoli o in qualsiasi altra megalopoli del mondo, a fare di tutto per mangiare o per crearsi una prospettiva qualsiasi pur di uscirne, scappare via e sperare di accedere prima o poi ai quartieri con palazzi di tanti piani da cui si gode la vista della splendida baia, con la spiaggia più telegenica del mondo, che cinquecento anni fa (22 aprile del 1500) venne scoperta (e poi fagocitata) da qualche grande navigatore portoghese. Cinquecento anni-temporali passati nella storia del gigantesco paese-albero leggeri come la nebbia che li precede o li segue.

La scrittura di Christiana de Caldas Brito è nobile, la magia non è quella improbabile delle divinità andine di Gabriel Garcia Marquez o di Isabelle Allende. I cinquecento anni di solitudine del gigante (il Brasile nella fiaba che Marlene racconta al piccolo Anderson) sono scanditi dalla pioggia – forse l’unico tributo a Marquez, ma nello scrittore colombiano l’acqua ha un che di sopranaturale e quindi di irreale. I temporali della scrittrice brasiliana-italiana sono talmente veri, anche quelli metaforici che contornano tutti i personaggi che vivono nel morro, che un turista non scemo ne farebbe oggetto di scatti di fotografie e di istantanee da inserire nei loro album. Perché così è Rio de Janeiro, è fatta di temporali (“Io e Pioggia, insieme, sveglieremo il Gigante”, dice alla fine il piccolo Anderson ricordando la fiaba, una prospettiva di speranza nello scadenzario della tragedia).

Le fotografie di Christiana, però, ricordano quelle di Sebastião Salgado, un bianco e nero a volte con pochi grigi, a volte avvolto nelle nebbie, a volte estaticamente tragico. La realtà è una tragedia di Sofocle o di Eschilo. Il destino che bussa sempre alla porta dei miserabili e dell’umanità intera.

Il temporale (“la libertà è come il temporale: può tardare ma prima o poi arriva”) finisce sempre così, ti bagna sino alle cellule più riposte del tessuto osteoporotico, e, anche quando sembra che il sole caldo voglia vincere con la forza prepotente dell’amore, l’acqua è tanta da esondare e trascinarsi nel fango anche quel po’ di buono che il morro contiene. Non sono, i temporali che si susseguono quasi attendendo the big one –quello che festeggerà il 22 aprile, la ricorrenza della scoperta del Gigante–, sfumature fantastiche, come in João Guimarães Rosa, il Joyce brasiliano. Non sono monologhi senza punti e senza virgole, di cui abbondano, a volte facendo fare salti mortali al lettore, i due Joyce. Sono parole tagliate col bisturi del chirurgo che ama i propri pazienti: preciso, chiaro, benevolo, amico. La scrittrice è amica dei suoi lettori che devono avere solo una pazienza: quella di non leggere troppo rapidamente per sapere come va a finire, nel suo viluppo avvincente, la storia. Anzi le storie. Perché –anche in questo è originale il linguaggio creolo, contaminato– la trama la fanno i personaggi coi loro pensieri e i loro sentimenti che, spesso attraverso la mediazione del caso, interagiscono inconsapevoli arrivando a esiti imprevedibili. Oppure no, forse qualcuno li aveva previsti.

Il rientro in grande stile della magia, ma quella vera, quella di tutti i giorni, stravolge gli stilemi dei grandi scrittori sudamericani. In fin dei conti, che cosa sono la  televisione, la mafia, il narco-traffico, un’assicurazione che ti paga un infortunio, l’amore a prima vista sbocciato come un tappo di una bibita gassata in un bar, se non magia? Tutte cose che possono cambiarti la vita nel bene o nel male. Tutte cose magicamente vere.

La magia –capovolgendo il senso sempre uguale sempre quello di gran parte della letteratura sudamericana, Borges compreso– sta nello stile della scrittrice. Nelle 193 pagine di “500 Temporali”, col tanto giusto di parole, Christiana de Caldas Brito scrive un romanzo di grande afflato e di grande importanza, letteraria e “politica”, magnifico affresco della vita delle favelas. Obiettivo, come le immagini di Salgado che piacciono a tutti. Ma non per questo un lettore politicamente schierato può credere di finire invischiato nella ideologia. Tutti, senza sentirsi giudicati, non possono che approvare la denuncia della “miseria che comincia alla nascita e prosegue sino alla morte”. Questa è la forza della letteratura vera e del linguaggio universale che tutti, anche i bambini come Anderson, possono capire, apprezzare e condividere.

I protagonisti fanno la trama, la cuciono coi loro odi, le loro passioni, i loro amori, le loro debolezze. Ma essi, compresa la benestante Moira che scrive lettere appassionate alla pioggia, sono dei comprimari –come lo sono tutti gli uomini– sia pure notevoli, importanti, non semplici camei. Sono comprimari rispetto alla star principale, il leitmotiv wagneriano. Lei, la pioggia, “implacabile come il destino”, muove i fili, manda avanti e indietro gli eventi, lei (“il vero governatore dell’ingovernabile Rio de Janeiro”) ti cambia la vita. Nella sua fine è il suo principio: la “struttura circolare”, come ha detto la stessa de Caldas Brito, del romanzo ha come assunto sottinteso il concetto eliotiano del tornare sempre, dopo l’esplorazione, al punto di partenza.

Christiana de Caldas Brito è –come nel romanzo della nicaraguegna Gioconda Belli– una “donna abitata”. La vita delle favelas le è entrata “dentro”, l’odore delle “stanze dei rifiuti” –i residenti delle grandi megalopoli– permea indelebilmente le sue cellule olfattive e la sua buona volontà di scrittrice capace di trasfigurare la realtà, di ricrearla attraverso la potenza delle parole creole, contaminate, meticcie. Alla ricerca dell’amore perduto.   

 

500 Temporali

Christiana de Caldas Brito

Cosmo Iannone Editore

Anno di pubblicazione 2006

193 pagine

12 euro

ISBN 978-88-516-0074-7

 

LETTERA-RECENSIONE DI MARCELLA PIERINI A "500 TEMPORALI", AGOSTO 2006

Christiana carissima,
ho trascorso momenti molto piacevoli e intensi presa dalle vicende del tuo romanzo e vorrei cercare di mettere a fuoco, riflettendovi in questa mia comunicazione con te, perché questa lettura mi ha così coinvolta.
Ci si trova subito calati in una realtà tragica, tra gente il cui destino è determinato dalla causalità della nascita. Credevo che le prime pagine fossero l'antefatto, ma non è così. È un primo incontro con i protagonisti del romanzo, una piccola folla pittoresca che ci trasporta subito in un angolo dell'immenso Brasile.
La folla non va verso il Cristo del Corcovado, ma "segue il serpente liquido della fogna che porta in basso". È una realtà, ma anche metafora.
Mi ha colpita questa frase che conclude il secondo capoverso e il presagio che ne ho colto mi ha accompagnato per il resto della lettura.
Ci si immerge in un racconto corale in cui il vissuto di ciascun personaggio emerge fin dalla prima descrizione e cominciano a delinearsi i ruoli e le interazioni che si scopriranno in una lettura ricca di suspence. L'ambiente è sì una favela brasiliana, ma l'umanità dolente, disgraziata, predestinata è al di sopra delle situazioni contingenti, potrebbe essere collocata in qualsiasi luogo o in qualunque momento della storia dell'uomo, con diverse modalità, ma simili, tragici vissuto e destino. "La miseria comincia dalla nascita e prosegue fino alla morte".
Sembra di assistere all'inizio di una festa, ma è solo pura illusione: questa piccola folla segue un funerale. I suoi componenti, nonostante appaiano come un lungo cordone variopinto, sono sudati , piangenti e su di essi incombe un temporale.Fin dall'inizio l'ambiente e il tempo atmosferico rappresentano l'espansione materiale di una situazione psicologica.
Mi sono soffermata molto su queste prime pagine che (ma lo saprò solo alla fine) sono la conclusione di una storia ancora tutta da scoprire, perché in esse c'è in nuce tutto il significato profondo del romanzo.
Il senso del magico che aleggia in tutto il racconto culmina nella personificazione dei fenomeni atmosferici: pioggia, lampi, tuoni, temporali sono anch'essi protagonisti, sempre in sintonia con le situazioni descritte. Bellissima e poetica è l'immagine della "donna Pioggia" di Marlene.
Marlene è una luce nelle tenebre. Non a caso il capitolo in cui appare si intitola "Lampi". È il personaggio che più mi ha intenerita. Questo legame tra nonna e nipote mi ha commossa. Ho avuto anch'io una "Vo' Anja", le pettinavo i capelli, mi raccontava le storie che sono ancora uno dei ricordi più belli della mia infanzia. Si chiamava Anna.
Ma i lampi sono anche il presagio del temporale che incombe su Marlene, sensibile e innocente, amata e tradita; con lei "il destino è implacabile come la pioggia." "Non si può sfuggire alla propria storia".
È quasi l'annuncio di una catastrofe irrimediabile, ma nella conclusione appare un barlume di speranza come se il temporale fosse nello stesso tempo punizione e catarsi.
Trovo che il tuo stile sia una sapiente fusione tra fantasia, capacità narrativa e conoscenza di tecniche descrittive che sai usare con creatività e mi riferisco soprattutto al discorso indiretto libero che si intrufola nelle descrizioni e ci introduce nei pensieri, nelle considerazioni e nella psicologia del personaggio in questione.
L'ho trovato molto efficace per esempio in Diná, che incarna non solo l'ineluttabilità della differenza di classe, ma la rassegnata consapevolezza che sia giusto così: "...non era giusto che la gente educata si trovasse insieme a quelli che scendevano dalle favelas". È quasi un razzismo alla rovescia.
Ho pensato a Virginia Woolf e all'uso che fa di quello che viene definito "flusso di coscienza" e ho capito perché è una scrittrice che ami molto. Avverto molti punti di contatto nel vostro modo di descrivere, nell'incisività dei dialoghi e nella capacità di introdurre il lettore nel vissuto del personaggio e di renderlo partecipe dei suoi pensieri. Ho letto quasi contemporaneamente al tuo il suo romanzo "Gita al Faro" con simili interesse e coinvolgimento.
Non so se sono riuscita ad esprimere chiaramente il mio pensiero, ma voglio dirti che non mi capita spesso di avere l'esigenza di rileggere un romanzo appena finito per capire meglio, approfondire e riassaporare le emozioni provate, perciò ti ringrazio di avermi dato questa gioia e l'augurio più sincero che posso farti è che la possa provare un pubblico molto più vasto, come tu meriti di avere.
Con la stima e l'affetto di sempre ti abbraccio.

Marcella Pierini

 

MATURITÀ - ESAME DI STATO 2006

TIPOLOGIA B - REDAZIONE DI UN “SAGGIO BREVE” O DI UN “ARTICOLO DI GIORNALE”
(puoi scegliere uno degli argomenti relativi ai quattro ambiti proposti)
AMBITO ARTISTICO-LETTERARIO (una delle proposte: vedi le proposte, tratte dal sito del Ministero della Pubblica Istruzione)
«Siamo tutti migranti. Stiamo permanentemente abbandonando una terra per trasferirci altrove. Siamo migranti quando lasciamo i vecchi schemi e le vecchie abitudini per aprirci a nuove circostanze di vita. Un matrimonio, una separazione, la morte di una persona cara, un viaggio non da turisti, persino la lettura di un libro sono delle migrazioni interiori. Poi c'è la migrazione di chi lascia la madre terra per vivere altrove: una volta gli uccelli, oggi gli uomini. Ogni migrazione esteriore a poco a poco diventa anche interiore. Gli ostacoli possono trasformarsi in occasione di crescita. E' un processo lungo e doloroso. Chi sono? Sono tutti i miei personaggi ("Madame Bovary c'est moi!" diceva Flaubert). Tutte le mie storie hanno qualcosa di me e nascono probabilmente dai miei conflitti interni. Le mie origini sono portoghesi, da parte della famiglia di mio padre, e tedesche (prussiane) da parte di mia madre. Ho vissuto l'infanzia in Brasile, la mia vera patria; penso che il mio italiano sarà sempre un po' lusofonico. Se sono arrivata a destinazione? Fortunatamente no. Solo nel momento della mia morte potrò dire di esserci arrivata. E anche allora penso che inizierò un nuovo viaggio. Una nuova migrazione.»
Da un’intervista di C. Collina alla scrittrice brasiliana Christiana de CALDAS BRITO, in “Leggere-Donna”, n. 98, Ferrara, 2002 (vedi sotto).

 

RECENSIONE DI MARIA LINDA SULLI, LETTA AL CASALE GARIBALDI, APRILE 2005

Amanda Olinda Azzurra e le altre

Sapete qual è la differenza tra i verbi ricordare e rammentare? Apparentemente nessuna ma nell'etimologia delle due parole si può cogliere una sfumatura che sembra soltanto lessicale ma nel caso del libro che presentiamo stasera, diventa invece sostanziale.
Ricordare richiama le cose con il cuore, rammentare con la mente.. In questa sfumatura si dispiega la poetica del libro.

Proprio il cuore è il protagonista dei uno dei toccanti racconti di Christiana de Caldas Brito: un cuore vivo e pulsante che viene raccolto per strada, passato di mano in mano ed infine gettato via.
Questo cuore raccoglie le voci di tanti cuori: quello di Amanda, di Alina e di Alice, schiacciate dal peso della solitudine, quello delle lavandaie Josefa, Braulia, Alzira, Joaquina a cui l'invenzione della lavatrice sottrae ciò che per loro rappresenta il riscatto e la realizzazione di vita; è ancora il cuore di Chi e di Ana de Jesus, immigrate colf, che si lamentano per l'accorata nostalgia delle propria terra e delle proprie radici. Ed è un cuore disperato che porta Fausta ed Azzurra a compiere un gesto di efferata violenza per difendere il loro spazio di umanità ferita.

Donne semplici, sconfitte nel loro bisogno di avere un posto nel mondo ma pur consapevoli, nella loro fragilità, della piccola ricchezza che portano con sé a cui restano legate con i ricordi e la mortale nostalgia.
La grande sensibilità della nostra autrice ha dato voce, in modo leggero ma straziante, ad una parte di umanità emarginata e che vive in silenzio e, dunque, difficilmente ascoltata ma il pathos che emana da queste piccole donne richiama altre emozioni espresse in tanti campi dell'agire umano.

Ricorda la commozione di Dante per Paola e Francesca nell'Inferno ("e caddi come corpo morto cade"), quella per le strazianti liriche di Giuseppe Ungaretti dedicate al figlio e contro la guerra; ricorda ancora il senso di angoscia che provoca, in pittura, "Il grido" di Munch - il pittore della disperazione - o, in musica, la nostalgia viscerale che trasfondono le canzoni "Spirituals" dei negri africani o i canti napoletani degli emigrati nelle Americhe.

E vi ricordate Fabrizio de André, il menestrello dei diseredati e degli sconfitti?
Ebbene, se leggerete questi racconti vi verranno alla memoria le sue strofe e fra le altre queste:

"Dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fiori!"


RECENSIONE DI CLOTILDE BARBARULLI, PUBBLICATA SU "LEGGEREDONNA", MAGGIO-GIUGNO 2004

Christiana de Caldas Brito, Amanda Olinda Azzurra e le altre, Salerno/Milano, Oèdipus, 2004, pp. 118, € 9,50

Nel 2002 lavorando su scrittrici migranti che scrivono in italiano, l’incontro con la scrittura di de Caldas è stato significativo: quei brevi racconti che, fulminei nelle silenziose tragedie, con il tocco lieve dell’ironia e del fantastico, ci inondano con una visione poetica e politica sull’oggi, mi sono parsi intensi e lessicalmente innovativi. Sono perciò contenta che siano stati di nuovo pubblicati, dato che ormai l’edizione del 1998 era esaurita.

Nel dibattito che si è svolto a marzo sull’Unità, relativo alla letteratura contemporanea, si è parlato dell’incapacità degli scrittori a parlare del presente: non lo raccontano perché hanno perduto il linguaggio per farlo. Così nei libri non c’è più alcun riferimento a persone in carne ed ossa, e quindi bisogna ricorrere alla lettura dei diari e degli epistolari. Al di là che si è trattato di un dibattito rigorosamente al maschile (e questo meriterebbe un discorso a parte), mi limito a sottolineare che la scrittura femminile non ha perso –mai- il contatto con il corpo. E le scritture migranti, come nel caso di De Caldas, parlano proprio il linguaggio del desiderio, della corporeità e del presente.

Le scritture migranti in lingua italiana indicano, per me, un modo di scrivere tra lingue e tra culture: operano così un movimento tra diversi strati del linguaggio e dell’immaginario, e richiedono a chi legge di inserirsi in una dinamica di continui passaggi. Se chi scrive è –comunque– un coagulo di identità e di ruoli, perché è in movimento, in transito fra esperienze, sentimenti e immaginari, attraverso un viaggio nell’ignoto del sé e dell’altro, e tuttavia cerca di rendere dicibile il caos, de Caldas riesce a scrivere proprio il silenzio di alcune giovani donne.

Per Anna Maria Ortese (1989), tutta "la storia della vita delle donne è piena di silenzi, di grida disumane, a volte, ma più spesso di silenzio… Il silenzio è proprio di chi non ha valore o non gli è riconosciuto dal potere…Perché parlerebbe, se la sua voce è intesa solo come un suono confuso nel vento?" Nella scrittura di de Caldas, l’impossibilità di dare corso libero ai sentimenti per le immigrate ha come effetto la rinuncia alla comunicazione: il bisogno di vivere non trova modalità di esprimersi e di realizzarsi, incontra solo il silenzio come forma e sostanza dell’interazione umana: il silenzio dilaga non solo nel tacere ma anche nell’ascoltare, perciò implode dentro la persona. Da una parte l’invisibilità della migrante ("Chi sarà Chi? Chi chiunque. Chi dovunque. Chi comunque. Indefinita e relativa, l’immigrata Chi"), dall’altra le parole della propria lingua che restano nel cuore e si mescolano con le altre (nel racconto "Ana de Jesus"): pochi sanno sentire "le parole che stanno zitte dietro le parole rumorose". Nella lingua sperimentata dall’ autrice non solo la sintassi si contamina nell’incontro fra due lingue, ma anche la fonetica: così Ana de Jesus cerca di esprimersi facendo appello alla fisicità acustico-motoria della lingua: "Se le mie parole tengono un ritmo, e se tu capisci il ritmo, perché non posso sbagliare le parole?" Azzurra, ossessionata dal non trovare ascolto nello "stivale azzurro", viene travolta dalla follia e dall’odio e finisce per uccidere un corpo "azzurro" con un coltello "azzurro", nelle "lenzuola macchiate d’azzurro".

Se, come ha detto la stessa autrice, il fantastico irrompe nella letteratura sudamericana per superare le ingiustizie sociali, direi che nella letteratura italiana sembra assumere la funzione di far emergere le ingiustizie nei comportamenti e nelle norme del nostro Paese, e permette di affrontare con apparente leggerezza i drammi individuali in una società arroccata e chiusa: il fantastico nel quotidiano dunque, qualcosa che sfugge alla logica, per toccare temi delicati e gravi, esistenziali e sociali.

Se la perdita della terra e della lingua d’origine può creare spaesamento, in campo letterario l’incontro con la lingua straniera non è semplicemente un arrendersi alla lingua dominante, ma può essere un mezzo per dire l’alterità culturale nel corpo stesso della scrittura. Si ripropone lo spazio della frontiera: figura dell’attraversamento (Anzaldua, Zaccaria) che non comporta oblio, ma la necessità di portarsi dietro odori, suoni, volti, parole, in contrapposizione ad una nozione statica dell’identità. Il ‘sentirsi a casa’, dice Agnes Heller, non è solo un sentimento, ma anche una disposizione emotiva, ovvero una emozione-quadro che comprende molte emozioni specifiche, i suoni (il vento, l’autobus…), i colori (il cielo, i fiori…), gli odori, le forme (la casa, il giardino…), infine il linguaggio: la lingua ‘materna’, il dialetto locale, le filastrocche, i gesti: densità sensoriale dell’esperienza di essere a casa nello spazio delle fragranze e dei suoni familiari. E l’identità frantumata ed eccentrica delle autrici migranti trova proprio nel testo occasione e luogo per ri-costruirsi, affidando all’atto della narrazione il senso "irrinunciabile" della propria esistenza (Cavarero), del sentirsi a casa.

Le parole e le immagini migranti sono immerse nel fluire del linguaggio ed attraversano etichette e confini.Oggi con i passaggi in atto si è spinte a costruire una scrittura che diventa spazio di narrazione di una identità in continua trasformazione: scrittura migrante quindi come scrittura della spazialità, in una letteratura che sta divenendo sempre più (nonostante la chiusura degli accademici e degli Harold Bloom) campo di transizione linguistico-culturale, spazio polifonico di confronto, dove figure di donne ci invitano a guardarle ed a guardarci con occhi diversi.

Clotilde BARBARULLI

 

PREMIAZIONE DI "AMANDA, OLINDA, AZZURRA E LE ALTRE" (2003)

Il libro "Amanda, Olinda, Azzurra e le altre" (vedi tra le pubblicazioni in home page) ha vinto il primo premio della sezione narrativa del Premio di scrittura femminile "Il Paese delle donne". La premiazione è avvenuta il 29 novembre a Roma, presso la Casa Internazionale delle Donne. Le foto sono riferite a quest'evento.

La motivazione del premio:

"Profili di donne con "le ali tarpate" emergono con forza dai racconti di Christiana de Caldas Brito. Alle storie delle protagoniste fanno da sfondo il Brasile, sua terra di origine e l'Italia, sua terra d'emigrazione. L'autrice ci fa partecipi del suo desiderio di ristabilire una connessione tra il proprio passato ed il proprio presente in un percorso di vita alla ricerca di appartenenza.
Il libro non è rifugio nella memoria, ma feconda riflessione sulla complessità del vivere in due mondi diversi.
La scelta di scrivere in lingua italiana, la lingua di adozione, è una scelta di mediazione che aiuta a ricomporre lo strappo; il Portoghese a volte ritorna, si mischia all'Italiano e dall'incontro scaturisce un nuovo idioma che l'autrice chiama "Portuliano".
La narrazione ha un ritmo coinvolgente, il linguaggio è fortemente espressivo."

 

TALENTI LETTERARI E STORIE TRA EMIGRAZIONE E IMMIGRAZIONE ALLA FIERA DEL LIBRO DI ROMA - 29 NOVEMBRE-1° DICEMBRE 2002 (COMUNICATO STAMPA)

La partecipazione della casa editrice Il Grappolo alla prossima Fiera del Libro di Roma è all'insegna delle tematiche dell'emigrazione e della scoperta di talenti letterari. Il 1° dicembre, nella sala Azzurra, alle ore 10,30 sarà presentata l'Antologia PAROLE DI SABBIA di scrittori che hanno in comune la condizione della "migrazione", intesa come spostamento, movimento, attraversamento di luoghi e culture in una prospettiva sempre aperta.
Agli scrittori si alternano poeti italiani e stranieri: Carmine Abate, Hawad, Alberto Masala, Serge Pey e Jack Hirschman. All'incontro parteciperanno Armando Gnisci, Francesco Argento, Christiana De Caldas Brito, Attilio M. Scataglini e l'editore Antonio Corbisiero.
Si parlerà anche di letteratura dell'emigrazione. Romanzi e raccolte poetiche scritti da nostri connazionali all'estero raccolti nella collana RADICI che vanta già una quindicina di titoli tra cui due libri che si sono imposti all'atenzione della critica e del pubblico in Italia: "Son of Italy" di Pascal D'Angelo e "Cristo tra i muratori" di Pietro Di Donato.
Saranno presentate anche novità della collana per ragazzi DIVENTARE GRANDI e alcuni testi di nuovi autori, come il romanzo giallo RALLENTY del romano Attilio Maria Scataglini.
Con preghiera di diffusione.

Edizioni Il Grappolo
Parco S. Anna
84080 Piazza del Galdo SA
Telefax 089-894457

 

INTERVISTA DI CARLA COLLINA, PUBBLICATA SU LEGGERE-DONNA, RIVISTA BIMESTRALE DI INFORMAZIONE CULTURALE, N. 98 (MAGGIO-GIUGNO 2002)

Le interviste di Carla Collina.

Prima di incontrare la donna e scrittrice brasiliana Christiana de Caldas Brito in occasione della preparazione al convegno ferrarese "Culture della migrazione e scrittori migranti " ho voluto leggere la sua opera teatrale e narrativa e in particolare i racconti del libro "Amanda, Olinda, Azzurra e le altre" del 1998 sui quali hanno discusso e elaborato brevi rappresentazioni teatrali i miei studenti liceali di una terza linguistico. La prima sorpresa è l'impatto con il suo stile. Le parole di de Caldas Brito come tante goccioline di una pioggia duratura prendono corpo innanzitutto grazie all'attrazione calamitica della pagina bianca e lì si adagiano leggere, precise, soavi tessendo brevi storie che definirei atipiche per la loro struttura e per la forza espressiva del loro linguaggio. Un linguaggio che appare 'nuovo' nelle sue soluzioni comunicative con un dinamismo che dà rigore alla parola detta in prima persona, con i tratti personali dell'individualità femminile. Una voce femminile che si impone non tanto per raccontare avvenimenti dolorosi o tragedie vissute sotto la spinta di un destino crudele, in una realtà 'altra' in cui tante donne sono andate a vivere da emigrate ma piuttosto per dare forza vitale ad un pensiero profondo, covato a lungo e poi esploso con sintetica efficacia comunicativa. Sono le voci di Amanda, di Olinda, di Fausta, di Azzurra e di tante altre arrivate dai paesi latino-americani in quest'Italia per loro così diversa e difficile a partire dal funzionamento della sua lingua. Sono tutte giovani donne uscite dal guscio, si intenda dalla propria patria, dalla propria famiglia e dalla lingua-madre. Tre strappi che le obbliga a fare i conti con la nuova terra d'accoglienza, una dura realtà spesso troppo diversa da come l'avevano immaginata: i molteplici problemi da affrontare le conducono infatti a vivere nell'ombra e in un ostinato silenzio. Nel silenzio del proprio mondo interiore coltivano il soliloquio e poi una reazione inattesa le fa esplodere, parlare e così vivere per sempre nel nostro cuore di lettrici nonostante la breve situazione raccontata: è sicuramente il caso di Amanda che ha trascorso una lunga estate da sola e che cede alle lusinghe dell'ammazza-nostalgia perché è un'occasione da non perdere! Infatti, curiosa, dialoga con una suadente voce maschile, non si sa se appartenente ad un vero essere umano, Mauro, che irrompe nella sua triste vita o se tale voce è solo l'espressione alta di un sogno capace sia di colmare la sua fredda e solitaria vita sia di calmare la sua ansia nostalgica. Nostalgia di che cosa? Di chi? Non sarà mai esplicitamente detto: sta a chi legge scavare nel profondo di sé per capirla. E' altresì il caso della giovane Fausta per la quale la solitudine è composta dai rumori delle persone assenti: lei trova un'unica ragione per tirare avanti in quel collegio di suore e cioè le visite notturne 'di lui' che si muove delicatamente per non disturbarla; con lui presente Fausta non sente più il sibilo della solitudine al punto da uccidere una suora per salvargli la vita, quella di uno scarafaggio! E' ancora il caso di Sylvinha con la Ypsilon, una giovane commessa venditrice di calzini dotata di un cuore palpitante, vitale e pieno d'amore per il teatro una passione che non può coltivare oltre che per la sua Ypsilon, una lettera che non esiste nell'alfabeto italiano. Li sacrificherà entrambi impiccando sia il suo cuore sia gettando dalla finestra la pesante lettera, in un percorso di impoverimento affettivo e di annullamento di sé quale essere umano, come spesso capita agli immigrati che nella nuova realtà non sono accettati nella loro interezza o sono mal capiti o non amati.

Un chiarimento a proposito delle tue proposte di scrittura in italiano: perché il racconto breve o il dramma teatrale? Cosa hanno in comune e di diverso per una scrittrice come te?

Perché sono brevi i miei racconti? Non dipende dalla mia volontà. Nascono così. Forse perché la forma breve si addice alla mia personalità dato che la scrittura è anche autoconoscenza. O forse la brevità dei miei racconti è un residuo di una vecchia ansia infantile che mi costringeva a finire subito i compiti assegnati: ero quel tipo di bambina che prima di andare a giocare finiva i compiti della scuola. Evito però di " psicologizzare" la mia creatività. Il bello della scrittura è che non finisco un racconto per poi andare a giocare. Il racconto è il gioco. La letteratura e il teatro sono le mie grandi passioni, accanto alla psicologia. In São Paulo del Brasile mi sono diplomata all'Accademia di Arte drammatica. Da allora ho cominciato a scrivere per il teatro. Quasi tutte le mie pièces sono atti unici. Come si può constatare anche nella forma teatrale è presente la brevità. La mia scrittura teatrale risente certamente dell'abitudine della psicoterapeuta che comunica con il dialogo. Queste due forme di scrittura sono più dirette e dinamiche e stimolano maggiormente il lettore che, senza accorgersene legge di più. E' come se dicesse a se stesso" in questo ritaglio di tempo, ce la farò a finire questo racconto? Sì, è breve. Via, leggo pure quest'altro." I miei ultimi racconti sono un po' più lunghi e ho appena terminato di scrivere un romanzo con un gioco scritturale alquanto faticoso.

Il testo " Olinda" mi ha colpito per l'autenticità delle soluzioni linguistiche proposte e cioè una neolingua che definiamo per intenderci 'portuliano' un misto di portoghese e di italiano. La potenza del tuo stile sta nella leggerezza espressiva della giovane protagonista. Quanto hai faticato per raggiungere un tale equilibrio formale?

Il divertente è che non ho faticato per nulla. Fatico di più per scrivere correttamente in italiano, ma per creare il linguaggio di Olinda o di Ana de Jesus non c'è stata alcuna fatica. Solo divertimento. Un giardino aperto davanti a me, solo gioco, senza compiti… Mi sono abbandonata alla mia "brasilianità". In termini linguistici questo vuol dire che pensavo in portoghese e traducevo male in italiano: ne è uscita questa lingua ibrida. Gli emigranti italiani in Brasile parlavano un po' così, mescolando l'italiano e il portoghese ma in realtà parlavano in 'portuliano ', come alcuni dei miei personaggi.

Chi sei e da dove vieni? Sei arrivata a destinazione? Che differenza c'è tra migrazione esteriore e interiore?

Siamo tutti migranti. Stiamo permanentemente abbandonando una terra per trasferirci altrove. Siamo migranti quando lasciamo i vecchi schemi e le vecchie abitudini per aprirci a nuove circostanze di vita. Un matrimonio, una separazione, la morte di una persona cara, un viaggio non da turisti, persino la lettura di un libro sono delle migrazioni interiori. Poi c'è la migrazione di chi lascia la madre terra per vivere altrove: una volta gli uccelli, oggi gli uomini. Ogni migrazione esteriore a poco a poco diventa anche interiore. Gli ostacoli possono trasformarsi in occasione di crescita. E' un processo lungo e doloroso. Chi sono? Sono tutti i miei personaggi ("Madame Bovary c'est moi!" diceva Flaubert). Tutte le mie storie hanno qualcosa di me e nascono probabilmente dai miei conflitti interni.Le mie origini sono portoghesi, da parte della famiglia di mio padre, e tedesche (prussiane) da parte di mia madre. Ho vissuto l'infanzia, la mia vera patria, in Brasile; penso che il mio italiano sarà sempre un po' lusofonico. Se sono arrivata a destinazione? Fortunatamente no. Solo nel momento della mia morte potrò dire di esserci arrivata. E anche allora penso che inizierò un nuovo viaggio. Una nuova migrazione. (1)

Con il tempo della lettura e con quello della conversazione e della chiacchierata amichevole per Ferrara o sedute a un tavolo durante una cena multietnica, accomunate dalla toccante musica rom di Santino Spinelli, ho fatto la conoscenza di una donna che brilla per la luce dei suoi occhi, del suo cuore e della sua intelligenza creativa. Si è definita un'alchimista capace di trasformare esperienze ed emozioni nell'oro delle parole, capace cioè di trasformare il vissuto in parole, grazie alle nuove parole della seconda lingua appresa, l'italiano per lei, e anche con personali apporti di parole nuove nell'italiano d'oggi. Visitare il suo sito Internet www.miscia.com/christiana è sicuramente il modo migliore per continuare a frequentarla: in fondo ogni scrittore/scrittrice vive grazie alla presenza del lettore o della lettrice, pardon di una autentica navigatrice della rete Net.

Carla COLLINA

(1) Questo paragrafo è stato proposto tra gli spunti per la "redazione di un saggio breve" in ambito artistico-letterario degli esami di maturità 2006.

 

CONFERENZA STAMPA ONLINE (APRILE 2002)

Conferenza stampa online "Culture della migrazione e scrittori migranti" (aprile 2002)

 

 

PREMIO GROTTERIA 2000
Il 29 settembre del 2000, a Grotteria (RC), durante la serata della terza edizione del Premio Grotteria, la scrittrice Christiana de Caldas Brito, il poeta Gezim Hajdari e lo scrittore Ron Kubati hanno ricevuto un Premio-Riconoscimento per i lavori pubblicati. Il Premio è stato consegnato ai tre autori da Melba Ruffo di Calabria, madrina della manifestazione e presentatrice della serata. Nell'occasione, Christiana de Caldas Brito ha recitato brani del suo testo teatrale "Ana de Jesus".