Pubblicato in esclusiva su questo sito il 16 settembre 2003.
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LA FRANCESCATA
di Christiana de Caldas Brito
Oggi è il compleanno di nonna e non sono ancora andata a
trovarla. Mia sorella ha telefonato per dire che papà è arrabbiato con me. Mi
sono dimenticata, che ci posso fare? Come è capitato? Sono a Rio da pochi
giorni, ho il sonno arretrato, mi trovo ancora sul fuso di Roma, e va be', posso
dirne quante mi pare, sto solo cercando delle scuse.
Tutti si aspettano che io vada questa sera da nonna, è l’occasione adatta.
Non voglio fare brutta figura con i miei familiari. Ormai è un po' tardi, le
nove e mezza passate. Nonna di solito va a letto presto, ma questa sera
festeggia. Con un autobus carioca, di questi che passano come frecce sparate,
presto sarò da lei.
Forse perché da alcuni anni non vengo a Rio, forse per l’ansia di arrivare
subito, ma ho preso l’autobus nella direzione opposta. Mi trovo in pieno
centro. Incredibile. Dov’ero con la testa mentre attraversavo la città?
Possibile che il traffico dei miei pensieri sia più incasinato di quello di Rio
de Janeiro?
Una signora mi dice che dall’altro lato della strada passa il 23, è quella
la direzione per Copacabana. Non posso perdere più tempo. Mi tornano in mente i
sogni ricorrenti dell'adolescenza: preparare di corsa le valigie, con il terrore
di perdere l’aereo, una corsa tremenda contro le ore per arrivare in aeroporto
e vedere che l’aereo è già partito. Davvero un incubo.
Decido di prendere un tassì. A Rio, per fortuna, i tassì non sono quegli
oggetti rari che a Roma, in appositi punti, attendono i clienti. No. A Rio i
tassì ti vengono incontro, uno dopo l’altro, quasi come le mosche. Difatti
eccolo.
Il tassista mi dice buona sera. Un bel giovane. Dal sedile di dietro, vedo
che i capelli lunghi gli cadono sulle spalle. Gli dico di portarmi a Copacabana.
Appena avvia il motore, cerca di chiacchierare con me, ma io, un po’
preoccupata, rispondo con monosillabi.
Al primo semaforo, noto che lui mi sta guardando dallo specchietto
retrovisore. Ha gli occhi chiari, forse verdi. Non potrei garantire perché è
un po’ scuro nel tassì, ma sembrano verdi. Lui mi sorride: "Sei
nervosa?"
Mi dà del tu, cosa normale a Rio. Gli dico che sono in ritardo per la festa
di compleanno di mia nonna, la devo trovare ancora alzata. Lui accelera. Guida
bene, ma attraversa ben due incroci con il semaforo rosso.
Improvvisamente, la macchina gira a sinistra, lasciando la via centrale. È
una traversa poco illuminata con case basse, tutte uguali, tutte provviste di un
giardinetto e di un garage esterno coperto di zinco. Il tassista si ferma
davanti a una di queste case. "Dove mi stai portando?", domando.
"Abito qui", mi dice. Ferma il motore della macchina. Un altro motore,
dentro al mio petto, inizia all’impazzata: "Senti, io…".
"Non aver paura, devo solo prendere la chitarra, questa sera c’è una
francescata."
Lascia la macchina, apre il cancello di ferro battuto, attraversa il
giardinetto e sparisce nella parte posteriore della casa.
La situazione non è del tutto tranquillizzante. Esco dalla macchina pensando
ai ritagli di giornali con notizie allarmanti, mandati a Roma da mia sorella. E
se invece della chitarra il giovane tassista tornasse con una pistola? Tutto
andrà bene se questa sera potrò raccontare la storia. Nonna, perdonami il
ritardo, ma non sai quello che è successo. Stavo venendo da te in tassì…
Ma che diavolo sarà una francescata?
Mi risolleva vedere il tassista tornare con una chitarra in mano. Mi apre lo
sportello di dietro, torno a sedermi. Lo vedo accomodare la chitarra sul sedile
accanto a sé. Prima di riprendere la guida, mi sorride un’altra volta:
"Perdonami, eh?"
Partiamo. È tornato a guardarmi dallo specchietto. Cerco di fare in modo che
i miei occhi non incontrino i suoi. La sua voce è tanto disinvolta quanto la
sua guida: "Non sarebbe una vera francescata senza la chitarra."
Rimango in silenzio. Lui continua: "Ho lavorato tutto il giorno pensando di
venire a prendere la chitarra, ma ho avuto tanti di quei passeggeri…"
Capisco che per quel tassista io non sono che un passeggero in più, una
delle tante persone che entrano per qualche minuto nella sua vita e scendono
senza sapere il suo nome, dove abita, e senza mai supporre che lui suoni la
chitarra. Ammesso che la sappia suonare.
Mi ha invitato alla francescata. Ho una gran voglia di domandargli cosa sia,
ma resisto. Un’altra domanda, invece, mi esce spontanea: "Suoni la
chitarra?" Lui mi guarda dallo specchietto e si mette a ridere. La sua
testa si muove al ritmo della risata: "Sarei venuto a prendere la chitarra,
se non la sapessi suonare?" Mi rendo conto di aver fatto una domanda
stupida e decido di non fare quell’altra. Voglio evitare che mi dica: Come?,
non sai cos’è la francescata?
Guardo l’orologio, sono quasi le dieci e trenta. "O temps, suspend ton
vol".
La voce del tassista mi distoglie dai ricordi liceali. "Perché non
vieni con me alla francescata?"
Non rispondo. Lui crede che io non l’abbia sentito. Insiste: "Perché
non vieni con me alla francescata?"
Prima di rispondere voglio domandare cosa mai sia la… No. Guardo un’altra
volta l’orologio: "È tardi." Lui pensa che io gli abbia risposto.
Mi dice: "Dopo ti accompagno io a casa."
Mi piacerebbe, almeno una volta, accettare un invito assurdo, andare in un
posto sconosciuto, accompagnata da uno sconosciuto. Dal suo modo di parlare,
questo tassista sembra uno di quegli studenti con un lavoro alternativo. Chissà
se fare il tassista rientra nella categoria dei lavori alternativi. Sto per
domandare se studia medicina, e invece gli domando: "Quanto tempo
durerà?"
"La francescata?"
"Sì."
"Il tempo che ci vuole, né più né meno."
Nessun progresso. Esattamente come prima. Potrei con umiltà spiegargli che
non so cosa sia questa benedetta francescata.
"Allora, accetti?"
"Non posso, devo andare al compleanno di nonna."
"Sicura?"
"Sicura."
"Vuol dire che non sentirai la mia chitarra."
Per me, invece, caro tassista, vuol dire molto di più, vuol dire che
continuo a essere la ragazza che non sgarra dal dovere, vuol dire che non ho il
coraggio - lo avrò mai? - di affrontare l’ignoto, vuol dire che… che…
Posso cambiare idea e fargli sapere che accetto il suo invito. La francescata,
eh? Perché no? In più, vorrei vedere se suoni bene la chitarra. A proposito,
come ti chiami?
"Sarà divertente la festa di tua nonna?"
Penso alle facce delle zie, alla predica che mi farà mio padre: "Una
festa di famiglia, né più né meno."
Nel resto del percorso, non mi rivolge altre domande.
Al momento di pagare, vuole scontare il tempo in cui è andato a prendere la
chitarra. Dico che non importa. Lui insiste ma finisco per vincere io. Scendo
dal suo tassì.
Il cancello della portineria di nonna è chiuso. Il portiere sonnecchia con
la testa a ciondoloni. Accanto alla macchina, il tassista mi guarda. Il lampione
manda una striscia di luce proprio sul suo viso. Mi invita con gli occhi.
Questo è il momento, mi dico. Ho scelto di venire da nonna, ma posso ancora
tornare indietro.
Suono il campanello della portineria. Il portiere si sveglia, si alza per
aprirmi il cancello. Il tassista è già dentro la macchina. Prima di mettersi
in moto, si sporge dal finestrino:
"Sicura?"
Gli accenno un ciao con la mano. La macchina parte con un rumore strascicato.